Se pensiamo all'alimentazione dal punto di vista psicologico, il più delle volte tendiamo a far riferimento ad una condizione di malessere o a veri e propri stati patologici. Non parlerò dei disturbi più frequenti del comportamento alimentare come
l'anoressia nervosa, la bulimia nervosa (per altro in continuo aumento tra la popolazione giovanile e tra i maschi), l'obesità e il sovrappeso, ma di alcuni aspetti legati al modo in cui scegliamo la quantità e la qualità del cibo che assumiamo e di conseguenza del perchè la maggior parte delle "diete" sono destinate al fallimento.
Sebbene dopo la respirazione, l'alimentazione sia il secondo processo fisiologico indispensabile alla sopravvivenza e sebbene si usi dire che il cibo sia come una medicina: può far bene o può far male, sono ancora poche le persone con una adeguata educazione alimentare e ancora meno quelle che provano una sana curiosità, è il caso di dire, verso la conoscenza delle motivazioni alla base di molte cattive abitudini.
L'educazione alimentare è solo una dimensione di un fenomeno molto complesso e come tutti i fenomeni complessi andrebbe affrontato con un approccio multidiscilplinare e multiprofessionale integrato. Purtroppo l'aspetto psicologico e motivazionale è, fra tutti, forse quello più trascurato.
Ognuno di noi ha esperienza di regimi dietetici per il controllo del peso efficaci nel breve periodo ma destinati al fallimento dopo solo poche settimane. Perchè accade questo? Forse perchè le persone non hanno forza di volontà? Niente affatto, la volontà non è un fattore motivante di per sè. Per analogia potremo dire che la volontà è come il carburante per il motore di un'auto, ma se non c'è una meta interessante da raggiungere probabilmente l'auto resterà ferma. E ancora, se non ci accorgiamo del freno a mano tirato ben presto dobbiamo fermarci e riconsiderare tutto il percorso. Insomma non è semplicemente una questione di volontà ed è un errore credere che le decisioni che assumiamo giornalmente in fatto di cibo siano solo il risultato di scelte razionali. Eludere gli aspetti emozionali meno consapevoli dai motivi alla base delle nostre scelte alimentari ci porta spesso a ripetuti fallimenti.
Vediamo come le
neuroscienze cognitive possono aiutarci a comprendere meglio questo concetto.
Tutti sanno che il bisogno di mangiare, ciò che comunemente chiamiamo fame, nasce da un normale meccanismo fisiologico interno all'organismo teso a ridurre lo stato di tensione e a ripristinare l'omeostasi. Tuttavia accanto a questo meccanismo c'è ne un altro che a livello cerebrale è definito circuito dopaminergico e che può essere attivato anche alla sola vista del cibo o al pensiero di un cibo a noi particolarmente gradito, sia esso un cibo sano o un "cibo spazzatura".
Grazie alla tecnica della
risonanza magnetica funzionale gli esperti oggi sono in grado di mostrare cosa succede nel nostro cervello quando si attivano determinate aree cerebrali a seguito di determinati comportamenti. In altri termini sapendo da cosa nasce la nostra attrazione per il cibo e soprattutto quali bisogni soddisfa, possiamo avere una consapevolezza maggiore e perciò un conseguente controllo sul nostro stile alimentare. Peccato di gola o fame? Desiderio o bisogno energetico di cibo? Rispondere a queste domande sembra essere un primo passo verso una padronanza degli stati emozionali legati alla scelta della qualità e quantita di cibo che assumiamo. Insomma, questi studi suggeriscono il fatto che noi possiamo sviluppare e apprendere nuovi comportamenti virtuosi fino a farli diventare automatici. Anche piccoli gesti quotidiani lasciano una traccia mnestica nel nostro cervello e nella nostra mente. E se questi ci procurano benessere, come gli studi sulla biochimica dei neurotrasmettitori cerebrali dimostrano, hanno buone possibilità di diventare delle vere e proprie abitudini in grado di modificare radicalmente il nostro stile di vita.